IL N. 6 - GIUGNO 2023 - DE il puntO (leggi/scarica qui)

DA QUESTO NUMERO

LE ALLUVIONI

IL RUOLO DEI SOCIALISTI NEL POLESINE. La storia del Polesine è il racconto di secolari e pesanti ingiustizie, con la forbice drammatica tra un latifondo monopolista e decine di migliaia di persone condannate ad una stentata sopravvivenza, ma non per questo rassegnate. La trama di fine ottocento è caratterizzata da straordinarie azioni sindacali che proseguirono anche dopo con l’avvento del fascismo. Fu una figura polesana come quella del socialista Giacomo Matteotti ad opporsi in modo indomito alla dittatura, pagando con la vita.
La storia fu fatta non solo da protagonisti di primo piano ma anche da milioni di persone senza storia che ogni giorno ripartirono con coraggio e tenacia superando ogni difficoltà. I polesani l’avevano dimostrato da ben prima della Grande alluvione in occasione della quale prevalsero il grandioso orgoglio e la capacità di riscatto di quella che era stata definita la “mesopotamia d’Italia”, la terra tra i due fiumi, l’Adige ed il Grande Fiume Po.
L'alluvione del novembre 1951 fu un evento catastrofico che investì gran parte del territorio della provincia di Rovigo e una porzione di quello della provincia di Venezia causando un centinaio di vittime e più di centottantamila senzatetto, con pesantissime conseguenze sociali ed economiche. Si verificò a soli sei anni dalla fine del sanguinoso secondo conflitto mondiale che aveva visto l'Italia soccombente e che aveva lasciato il Paese in condizioni di indigenza e distruzione e così, quando l’alluvione sommerse il Polesine, già in condizioni economiche e sociali particolarmente complicate, la situazione si aggravò drammaticamente. Quella terra, prevalentemente agricola, risentì in modo ancor più grave della inevitabile carestia prodotta dall'inaccessibilità delle terre allagate. Cospicui furono gli aiuti portati da associazioni, partiti politici, sindacati ma anche da volontari di ogni condizione sociale e orientamento politico. La loro vera e gratuita solidarietà, espressa nelle più varie forme, fu mossa da autentici sentimenti di identificazione, condivisione e compassione.
Nei confronti delle popolazioni colpite ci fu anche una vera e propria gara internazionale di solidarietà, più o meno politicamente interessata, che vide una contrapposizione tra Unione Sovietica e Paesi del blocco comunista da una parte, americani dall'altra. I convogli di aiuti portavano l'indicazione a caratteri cubitali della nazione donatrice, in quell'epoca di guerra fredda tutto poteva servire per fare propaganda.
Durante il tragico evento l’azione di Lina Merlin, prima donna eletta in Senato per il Partito Socialista nel 1948, ebbe un ruolo significativo che mostrò in tutte le sue battaglie tenacia, coerenza politica, serietà e grandi capacità organizzative. Nella attività parlamentare si era da subito fatta portatrice delle grosse problematiche di quel territorio fatte di miseria, malattie endemiche ed emigrazione. Dal 1951 al 1955, nel ruolo di consigliere comunale di Chioggia, profuse un forte impegno a favore delle popolazione sostenendo la necessità di una bonifica integrale del territorio. Durante la Grande alluvione la senatrice Merlin si impegnò fattivamente a portare aiuto alle popolazioni delle valli inondate dal fango, raggiunse Adria per coordinare i soccorsi e dare una mano in prima persona, passando di casa in casa a bordo di un’imbarcazione per distribuire cibo, farmaci e vestiario, così come fece nelle successive inondazioni. Venne definita una piccola donna infilata in stivaloni di gomma fra gli uomini del soccorso. Dalla sede del municipio lanciò un drammatico appello tramite i microfoni della Rai, chiedendo aiuti urgenti e nel contempo espresse forti critiche e accuse al governo e ai responsabili dei soccorsi per l’assenza dei mezzi necessari a liberare il territorio: ruspe, camion, sacchi di sabbia e non si astenne dal denunciare la poca trasparenza dell’impiego dei fondi stanziati.
Un ruolo di primo piano lo conquistò anche il sindaco di Adria, Sante Tugnolo, figura storica del socialismo polesano. Eletto pochi mesi prima appena ventenne, si trasferì a tempo pieno nella sede del Comune dove, per coordinare i soccorsi e garantire, per quanto possibile, il funzionamento della macchina comunale, rimase per giorni dormendo su un pagliericcio sistemato in uno sgabuzzino. Da azioni come queste prese forza il processo di ricostruzione e trasformazione del Polesine. Se le conseguenze a breve poterono essere affrontate con un discreto esito, quelle a lungo termine furono ancora più pesanti. Moltissime famiglie sfollate non fecero più ritorno, solo poche di loro trovarono un valido motivo. Ebbe così inizio un lungo e inesorabile processo di spopolamento, la curva negativa dell'andamento demografico del Polesine vide nel 1951 il punto massimo, nel decennio 1951 – 1961 la popolazione si ridusse di oltre 80.000 unità, un fenomeno che sì è in buona parte invertito solo recentemente.
UNA LEZIONE NON SOLO PER RAVENNA. A partire dal 1400, per oltre 500 anni, si realizzarono opere idonee a rendere fruibile e governabile il territorio, le ultime furono quelle degli anni cinquanta per mettere in sicurezza dalle alluvioni il Polesine. Tutta quell’acqua c’è ancora ed è rappresentata dagli innumerevoli fiumi e fiumiciattoli, canali e fossi che costellano il territorio, nonché dalle zone vallive che si estendono fino quasi a Chioggia. Da allora molto è cambiato, gli apporti del Po e le sue diramazioni non sono più sufficienti a contrastare la subsidenza alla quale ha fortemente contribuito il prelievo di idrocarburi. È vero pure che larga parte del territorio ravennate è sotto il livello del mare e che perciò serve tenere nella massima efficienza tutti i presidi tecnici.
La crescente urbanizzazione ha portato ad un perenne consumo del suolo agricolo per far posto a fabbriche, palazzoni, singole abitazioni, centri commerciali. Secondo uno studio di Ispra, il suolo consumato dagli anni ’50 fino ai giorni nostri ammonta al 7% della superficie italiana.
È vero che lo spopolamento della montagna e in parte l’abbandono dell’agricoltura hanno privato il territorio di cura, interventi e vigilanza; è vero che certi mestieri prima dedicati alla pulizia di fossi e caditoie sono desueti, è vero anche che l’aver affidato ad appalti privati molti servizi della cura del territorio dimostra che forse non rispondono sufficientemente alle necessità, tenuto conto delle anomalie climatiche che producono eventi atmosferici e calamità naturali catastrofiche sempre più frequenti.
Diverse sono le questioni da affrontare che richiedono un’immediata e radicale inversione di rotta: serve non solo bloccare ma ridurre drasticamente la cementificazione esistente che impermeabilizza il territorio e sovraccarica i sistemi di deflusso, serve quindi un piano di graduale eliminazione degli immobili costruiti in zone particolarmente a rischio. Serve interrompere subito l’urbanizzazione incontrollata della città, delle periferie e riutilizzare e mettere a norma l'esistente. Per quanto riguarda le nuove mega strutture commerciali recentemente costruite e in costruzione non se ne capisce la necessità, il numero dei residenti del comune di Ravenna è sensibilmente diminuito negli ultimi anni. Serve nel contempo la realizzazione urgente di opere per la messa in sicurezza dei territori che riducano il rischio di alluvioni e inondazioni.
Una questione decisiva interroga la politica, qualsiasi siano le ragioni più o meno nobili per le quali non ci si è limitati nell’uso del suolo, ora serve porvi rimedio e in fretta.
SOLIDARIETÀ SEMPRE. Un soccorso doveroso a tre realtà della nostra provincia drammaticamente investite dalle esondazioni che il mese scorso hanno devastato in particolare i territori di  Faenza, Conselice e Sant'Agata sul Santerno. È quello che, come preannunciato, il 3 giugno, il Partito Socialista - Regione Emilia-Romagna ha fatto portando aiuto concreto con la distribuzione ai cittadini dei beni richiesti da quei Comuni così duramente colpiti.
Un ringraziamento a tutte le Federazioni provinciali socialiste che, facendo capo alla sede del Partito di Faenza, hanno contribuito con grande impegno al raggiungimento dell’obiettivo, un grazie in particolare alle Federazioni di Bologna, Ravenna e Parma per lo sforzo organizzativo ed economico profuso. Un sentito grazie a quanti hanno consentito al grande cuore socialista di portare i soccorsi. Così come a coloro che hanno creduto che ce l’avremmo fatta nonostante le nostre modeste forze, per tutti al segretario provinciale Francesco Pitrelli, agli instancabili Federico Penazzi e Fifi Gullotta, al consigliere e assessore di Fusignano Carlo Sante Venturi, al tesoriere nazionale del partito Marco Strada che da Bologna ha coordinato la raccolta regionale, al segretario regionale Francesco Bragagni che ha voluto essere presente al centro di smistamento di Sant’Agata per esprimere la solidarietà di tutti i socialisti emiliano romagnoli.
IL GOVERNO TIENE IN OSTAGGIO LA ROMAGNA. Il Partito Socialista di Ravenna condanna l’atteggiamento del Governo Meloni e della maggioranza di destra nei confronti dei territori colpiti dall’alluvione, tenuti in ostaggio per interessi elettorali. Solo a 40 giorni dalla drammatica alluvione che ha colpito la Romagna, con colpevole ritardo è stato nominato il commissario straordinario per la ricostruzione, il generale Figiuolo. Non sono in discussione le sue  competenze, ora però non c'è un minuto da perdere per recuperare il tempo perduto. Servono da subito la disponibilità  di risorse adeguate e risposte veloci. Nella struttura commissariale, fondamentale deve essere poi il coinvolgimento della Regione, dei sindaci, dei presidenti di provincia e Città metropolitana ma anche delle rappresentanze economiche e sociali. Gli obiettivi sono quelli di concentrare ogni sforzo per indennizzare subito al 100%, famiglie e imprese alluvionate, rimettere in sicurezza il territorio riparando argini e strade.
“Il Governo non è un bancomat” aveva affermato alcuni giorni fa il ministro per la Protezione Civile Musumeci, un’affermazione vergognosa, un’offesa a tutti i romagnoli, a chi ha perso tutto in primis, ma anche nei confronti della popolazione in generale che da sola non può far fronte alle spese – stimate quasi 9 miliardi di euro.
Fin da subito i socialisti sono stati convintamente dalla parte delle Amministrazioni che in queste settimane hanno lavorato incessantemente per far fronte all’emergenza e chiesto con insistenza al Governo di non abbandonare la Romagna e di agire nel rispetto del proprio ruolo istituzionale, senza privilegiare il tornaconto elettorale.

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