RIMETTERE IN MOTO LA RAGIONE. VALE LA PENA DI PROVARCI

VADANO GLI ALTRI DA SOLI NEL MONDO
Vorrei rovesciare un assunto spesso dato per scontato, che si debba, noi italiani e gli altri Paesi insoddisfatti di questa Europa, abbandonare la Unione Europea. Sfidiamo, invece, ad uscire dalla UE tutti quegli staterelli  (perché in termini dimensionali di questo si tratta) che insistono sul rigorismo economico, forse così capirebbero che neppure per loro da soli c’è salvezza. Solo una domanda: ma se non vogliono una Europa federale perché hanno voluto l’Euro? Una moneta unica senza prima o poi (meglio prima) un’unica politica economica e fiscale è poco meno di una follia!
Vadano dunque gli altri da soli nel mondo, un mondo che dopo aver rinunciato a governare l’economia, lasciandola in mano alla finanza, ora sembra abbandonare i principi della democrazia liberale. I segnali sono chiari, vanno da Trump a Putin, agli altri autocrati come Erdogan e Orban, ai populisti di casa nostra (italiani ed europei).

NESSUNO POSSIEDE CERTEZZE SULL’EVOLUZIONE DEL COVID19
La 
democrazia liberale ha reso possibile regolare l’avvicendamento al potere di governi che avessero cura di agire per rendere “felici” la maggioranza degli individui. Un principio che in taluni casi ha anche inciso sulle scelte di natura sanitaria secondo il criterio di profittabilità (se sia cioè utile spendere per tentare di salvare una vita anche quando ciò sia assai poco probabile). Ma anche senza arrivare a questa disumana pratica, resta valida la domanda di quale scelta si debba compiere per il maggior bene comune, di fronte a questo virus del quale – obiettivamente – si sa ancora troppo poco sui suoi effetti di massa. Da questo punto di vista è quanto meno ingiusto accusare i governi, e il nostro, di non adottare le misure giuste. Altra cosa sono, per quanto ci riguarda, la tradizionale disorganizzazione, la solita burocrazia inefficiente e, come sempre, le furbizie, gli sprechi e le vere e proprie ruberie.
Ciò detto, e lo ripeto, senza neppure per un momento accusare nessuno per le scelte fin qui fatte, poiché nessuno è un indovino (nemmeno gli scienziati), non mi sembra peregrino il dubbio se aver agito per contenere il contagio alla fine sarà risultato utile. Ammesso che si raggiunga lo scopo, avremo forse salvato un milione di vite ma reso poveri o poverissimi 59 milioni di individui. E se invece, nonostante tutto, anzi proprio perché così facendo non si è potuta acquisire l’immunità di gregge, alla fine il virus quell’ulteriore milione di vite se le prenderà lo stesso? Avremmo avuto il massimo danno su entrambi i fronti: morte e miseria! O c’è qualcuno che può assicurarci del contrario? Credo se ne debba discutere seriamente e serenamente.

NON È UNA PUNIZIONE DIVINA
Non credo ci siano molti dubbi che, prima o poi, sarebbe dovuto succedere. Da sempre i virus viaggiano dall’animale all’uomo, a maggior ragione se c’è promiscuità tra le specie selvatiche e quelle domestiche. Si aggiunga, a favorire questa promiscuità, una crescita come mai prima della popolazione del mondo con particolari effetti drammatici dove c’è più miseria. Il resto lo ha fatto lo stile di vita dei Paesi più ricchi, che ha favorito politiche predatorie dell’ecosistema. La madre ideologica di tutto questo è stata la competizione globale giocata con le carte truccate della finanza, invece che in termini di economia reale.
Non vorrei aprire una gara tra ottimisti e pessimisti, anche se mi sembra che le previsioni non indichino bel tempo, ma piuttosto aprire un confronto sul dopo, senza cadere nel luogo comune, di nessuna concretezza, che nulla sarà più come prima. Anzi diciamo meglio, nulla sarà più come prima, è vero, e di sicuro c’è da aspettarsi il peggio, ma vogliamo provare a dire in quale direzione vorremo cambiare il verso a questo mondo ingiusto e che non ci piace?

NON ACCONTENTIAMOCI, È IL TEMPO DEI GRANDI IDEALI
Se il pianeta, come dimostra la pandemia, è un villaggio globale, tutto dovrà assumere quella dimensione: ambiente, nascite, salute, istruzione, ecc.
Ci è toccato, come socialisti, di vedere il fallimento del comunismo e del capitalismo, conditi di colonialismo, guerre, dittature, stragi di popoli. In Europa abbiamo saputo contrapporre il riformismo (che è solo quello socialista) attraverso quel compromesso socialdemocratico che ha compiuto la grande impresa di fare del nostro continente quello dove si vive meglio nel mondo. È Vero che anche qui da un po’ siamo afoni, fatichiamo a rimettere a fuoco la nostra missione. Lo stato sociale che abbiamo creato scricchiola da più parti e non sappiamo come correggerne sia gli eccessi, ormai troppo costosi, sia i limiti che cominciano ad escludere nuovi emarginati; e, come nel caso dell’Italia, le distorsioni clientelari. Potrà ripartire dall’Europa una nuova primavera del socialismo? Si, purché lo si concepisca di nuovo come un’ideale internazionale, scevro quindi da nazionalismi e regionalismi, capace di lottare ovunque nei termini imposti dallo specifico contesto, per libertà, giustizia e lavoro: riformisti dove possibile, rivoluzionari dove necessario.
In conclusione qui ci avvaliamo, con poche modifiche, di quanto scrive in argomento Alberto Benzoni:
E allora, forse la “sinistra che verrà” non nascerà da quella ufficiale e non avrà la fisionomia partitica ma piuttosto quella di un fronte costituito dal comune sentire di aree diverse tra loro e, necessariamente quindi, una dimensione internazionale e internazionalista. Frutto non di accordi di vertice ma della crescita di tanti movimenti e di tante esperienze separate, il suo fattore determinante sarà il crescere dell’indignazione e della protesta suscitata dall’enormità delle sofferenze dei governati rapportata alla cecità dei governanti; il discrimine sul quale si radicherà è quello tra cultura della solidarietà e barbarie.
Un'utopia? Un mito? O non piuttosto un'idea/forza, l'unica a nostra disposizione?

Sei qui: Home La nostra storia Primo Piano clausura2020_6 redazionale